SUL CONSENSO II

Riflessioni su cos’è per me il consenso

14 febbraio 2019

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Dopo essermi interrogato su cosa sia per me il consenso, riflettendo su come poi io metta effettivamente in pratica quegli stessi principi, mi sono accorto di come in realtà io non ho abbia mai negoziato un consenso, non l’ho mai chiesto e non ho mai stabilito dei limiti entro cui muovermi.

Una cosa quasi paradossale a pensarci (in realtà non è così) e  ho provato a schematizzare il mio comportamento nelle diverse situazioni:

– Non lego persone che non conosco:

Questa è stata all’inizio una scelta: tanto (tanto) tempo fa, ad una festa, legai una persona con cui avevo scambiato giusto due chiacchiere ad una precedente cena: venne legata, sospesa, la misi a terra.

Nessun problema, la legatura era andata benissimo e lei era veramente presa bene. Dopo, parlando, mi disse: “beh, per essere la prima volta che venivo legata, non è andata male”.

Ecco, in quel momento ho capito i potenziali rischi che avevo corso con una persona che non conoscevo a fondo.

Quella volta ho capito che legare una persona che non conosco è soltanto un modo per mettere in pericolo lei e me, solo e soltanto per il mio personale ego.

Con il tempo quella che era nata come una regola di sicurezza si è trasformata nel senso stesso del fare corde: conoscere l’altra persona.

Non è infrequente che si cominci a scambiare due chiacchiere con la persona prima della legatura, e alla fine si decida di andare a mangiare una pizza non perché non si abbia voglia di fare corde, ma semplicemente perché il tempo è volato, e alla fine va bene così, ad entrambi.

– Non ho mai affrontato l’argomento limiti e limiti di gioco:

Mi sono reso conto, mettendo giù lo schema che io non ho mai chiesto ad una persona i limiti entro cui muovermi e tantomeno i limiti entro cui stare in caso di gioco.

Che non vuol dire che passi il tempo a fare “cose inopportune” per usare un’espressione fine o faccia tutto quello che mi passa per la testa.

Semplicemente così come credo esista sempre un altro punto di vista, credo esista sempre un altro modo di chiedere le cose, meno diretto, certo più impegnativo in termini di tempo, ma più umano.

Mi fanno sorridere i questionari del tipo questo si, questo no, questo me lo puoi fare, quello lo gradisco solo se marte è nel segno dei gemelli con l’ascendente in capricorno, dai per favore.

Senza contare che, per quanto si concordi, rimane quel margine di imprevedibilità della mente umana di cui ho parlato in precedenza che rende vana ogni contrattazione.

Molto meglio guardare i segni che lei mi da quando se ne parla, si perché le persone vanno osservate nei loro comportamenti non solo ascoltate.

Certo, così facendo il rischio concreto è che la mancanza di paletti unita al rispetto per la persona porti a fare sempre meno di quanto si potrebbe: “e sti cazzi” (mi si perdoni la franchezza).

Se alla fine due persone sono state bene, davvero chi se ne frega se non è successo questo o quello, alla fine non è necessario riempire la tessera punti con questa o quella pratica per essere felici.

Preferisco portarmi a casa una cosa non fatta e i suoi occhi contenti, piuttosto che il rimorso di aver fatto qualcosa che non andava fatto, magari anche concordato prima.

Ma dopo le corde si parla e magari scappa un “sai, avrei voluto fare…” ascoltare la risposta potrebbe essere utile… (di nuovo: stesso risultato, modo diverso di ottenerlo).

Non chiedere i limiti non vuol dire fregarsene o ignorarli, semplicemente vuol dire averli capiti parlando con quella persona.

Non ho mai utilizzato colori vari e/o safeword perché semplicemente una qualunque parola è sufficiente se si ascolta e guarda la persona.

E vuol anche dire saper capire quando la persona vuole alzare l’asticella.

Con le persone che lego abitualmente la conversazione iniziale (per quanto attiene alle corde) è ridotta al minimo

Anche questa in effetti può apparire come una contraddizione, ma sto parlando di me.

Io abitualmente lego in maniera costante pochissime persone, che conosco bene e che sento praticamente ogni giorno, quindi al di là del fatto che mi sembra corretto che io mi ricordi il modo di vivere le corde di ognuna di loro (in cui rientrano aspettative, segni, trigger e tutto il resto), so già come stiano quando ci vediamo per fare corde.

Ma in ogni caso si parla, il più delle volte neanche di corde, ma si parla, mi aiuta a capire come sta la persona in quel preciso momento.

Quanto? Mai meno di una mezz’ora.

Non lego quasi mai da solo

NO, tranne si tratti di persone che conosco da molto tempo e di cui io abbia estrema fiducia.

Si sente parlare di episodi di violazione del consenso nei confronti di chi si fa legare e io dico che sono io che devo fidarmi di loro?

E’ vero, sembra folle, ma voglio provare di nuovo a cambiare prospettiva:

Premesso che sono il primo a dire ad una persona di portarsi qualcuno quando la lego, preferisco sempre che ci sia una persona di cui io mi fidi.

Fondamentalmente per due motivi:

Il primo è che si focalizza spesso l’attenzione sul fatto che la modella possa stare male, ma anche io non sono infallibile, potrei avere un malore o comunque qualcosa che metta in pericolo l’altra persona, motivo per cui preferisco sempre non essere da solo, quando capita faccio comunque in modo di prendere gli opportuni accorgimenti.

Il secondo è che per formazione professionale sono abituato a tutelare il cliente ma anche me.

Se si prova a cercare a chi spetti l’onore della prova nei casi di denuncia per violenza si scopre che la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che nel caso di reati sessuali, le dichiarazioni fornite dalla vittima si ritengono attendibili fino a prova contraria.

La presenza di una persona terza rappresenta quindi una garanzia per entrambi (a mio modo di vedere).

Lo so è un modo di vedere le cose impopolare e può anche sembrare una mancanza di rispetto per la modella scritta così, nuda e cruda, ma la realtà è sempre nuda e cruda.

Con il tempo ho però notato che la cosa è stata capita e apprezzata più di quanto immaginassi proprio dalle modelle stesse.

Senza contare che per una persona che inizia a farsi legare, avere una terza persona che le chiarisca dubbi e curiosità è molto rassicurante (si, se lego una donna la terza persona è una donna, non vedo perché metterla inutilmente a disagio).

La presenza di una terza persona può sembrare una cosa limitativa della libertà di azione e della fantasia, anche qui con il tempo ho visto come fosse una paura infondata.

Alla fine, per quanto si pensi, per quanto si montino e smontino ragionamenti e ipotesi più disparate tutto si riconduce a due fattori: educazione e buon senso.

Ormai il bondage è normale: guardo l’agenda e scopro che fino alle 17 lavoro, dalle 18 alle 20 palestra, dalle 21 bondage, come se il questo rientrasse in quelle attività “normali” che si possono scrivere in agenda.

Ormai è tutto programmato: si sa perfettamente quello che sarà e come sarà, e si così si diventa attori di una recita che a volte assume toni fin grotteschi.

Forse sarebbe meglio smetterla di continuare a correre verso un obiettivo immaginario e tornare a camminare verso di lei .

Perché alla fine di tutto quello che lei ricorderà saranno le emozioni che ha vissuto e non la posizione in cui era messa.

Io voglio che chi fa bondage con me senta che sta andando a fare una cosa che “non si fa”, una cosa proibita, sporca, voglio che sappia di andare incontro all’ignoto e che da questo potrebbe tornarne devastata, ma nonostante questo abbia voglia di farlo, perché anche il bondage è un modo di conoscere meglio se stessi e crescere.